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La strabiliante epopea della cheesecake alla fragola

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La cucina non è il mio vero talento. Il mio vero talento è ordinare bene al ristorante. Sono proprio abile. E poi mangio con una grazia quasi ultraterrena. Dovrebbero mettermi seduta davanti a un piatto di gamberoni e far pagare la gente per venirmi a vedere mentre li sguscio con coltello e forchetta. Dei cortometraggi, dovrebbero farci. Documentari sull’arte di mangiare il kebab con le posate. Corsi d’aggiornamento per neurochirurghi, con me che sgrasso fette sottilissime di crudo e impalpabili bistecchine.
Comunque.
Dicevamo che la cucina non è il mio vero talento. Più che altro, non mi impegno. Non ho gli utensili, non ho uno stipetto pieno di spezie esotiche e sali fosforescenti dell’Annapurna, non ho nemmeno delle pentole capienti o l’ambizione di investire in uno di quei robot che tritano, sminuzzano, cuociono e impastano. Però sto migliorando. Sono quasi obbligata, a migliorare. Perché sempre più spesso, mi capita di arrivare a casa e di imbattermi in Amore del Cuore che mi domanda candidamente che cosa c’è per cena. Ma me lo chiede proprio con autentica fiducia nelle mie capacità, come se io lo sapessi davvero che cosa c’è per cena.  Stasera, Amore del Cuore, stasera mangeremo gli strozzapreti con zucchine, zafferano e bacon croccante. Tiè. E userò pure lo scalogno. Non avevo mai visto uno scalogno prima di questo istante, ma non vacillerò. E poi se ci è riuscita Benedetta Parodi posso farcela anch’io.
Galvanizzata dallo strabiliante successo degli strozzapreti con tutte quelle altre stupidaggini là, ho deciso di spingermi oltre i confini dell’universo conosciuto, fino al remotissimo quadrante popolato dalla gente che fa le torte.
Sono andata al supermercato, addirittura. Ho preso la marmellata di fragole e le fragole fresche. Ho girato per un quarto d’ora cercando di immaginare che aspetto avesse la vanillina. La vanillina. Sarà solida, liquida o gassosa? Ho pure trovato un paccozzo-risparmio di teglie. Dodici euro per milioni di teglie di ogni forma e dimensione.
E così, col cuore colmo di un’inedita fiducia, ho stampato la ricetta della cheesecake dal sito del Philadelphia – che mi ricordavo che a Sanremo c’era la pubblicità -, ho chiuso il gatto in bagno e ho deciso che sarei stata bravissima.

Preparare la base della cheesecake frullando i biscotti, aggiungendo il burro fuso e amalgamando per bene.

GESOO, ricetta della cheesecake, io non possiedo un frullatore!
Va bene uguale se metto i biscotti in un sacchetto e li prendo a martellate?
E va bene anche se faccio tutte delle foto concettuali e poi le incornicio con arguzia e un po’ di ritagliosità vedo-non vedo? Osservate attentamente, genti del mondo. I biscotti martellati –> i biscotti martellati che si trasformano magicamente in compatto fondino per la torta –> la torta, in tutta la sua gloria di crema e crepe, appena emersa dalle infernali profondità del forno.

Comunque, sulla foto grande, quella lì a destra, ho deciso che avevo bisogno di rassicurazione. E va bene fare il fondo coi biscotti, fare la crema e cacciare l’ambaradan nel forno a centottanta gradi, ma poi, insomma, che cosa dovrei aspettarmi di vedere? A che dovrebbe somigliare, una cheesecake cotta? Perché una cheesecake prodotto-finito è sempre coperta di marmellata o di altre scemenze, non c’è modo di stabilire come sia fatta, sotto a tutta quella gelatina perfettamente livellata. Vai a sapere com’è una cheesecake grezza. Magari ero lì a sbattermi da due ore e tutto quello che avevo prodotto era una menzogna o un insulto totale ai più elementari principi dell’arte tortifera.
Per farmi spiegare se stavano succedendo cose buone o cose spaventose, ho raccolto il coraggio e ho chiesto lumi allo spietato POPOLO DELLA RETE. Ed ecco cosa è emerso dal social-sondaggio sulla plausibilità della mia cheesecake semilavorata.

Più confusa di prima e costretta ad attendere – per un tempo imprecisato – che la benedetta torta si raffreddasse, ho deciso di raggomitolarmi sul divano a sfogliare la mirabile guida di Vogue agli accessori della nuova stagione. Non fate mai nulla con Vogue, se già navigate in acque agitate. Se sfogliate Vogue e già vi sentite scarsamente capaci di affrontare la vita, il meglio che potrete ricavarne è l’irresistibile necessità di passare il resto della vostra esistenza in ciabatte e tuta di ciniglia. Comunque, verso i tre quarti del Vogue-accessori sono tornata a fissare la teglia con viva costernazione e, dopo aver unilateralmente deciso che si era raffreddata abbastanza, ho preso una cazzuola e ho soffocato ogni dubbio sotto uno strato fosforescente di allegrissima marmellata di fragole. Cascate di fragola e viva la Madonna.
Toh.
Bella, no?
O meglio… plausibile, no?

Quello che non sapete è che la prima torta della mia vita non è che l’ho preparata per i fatti miei, così, in gran segreto. L’ho fatta nella felice occasione della visita di cinque giovani congiunti di Amore del Cuore che, inconsapevoli e coccolosi, sono entrati in casa senza avere la più vaga idea del pericolo che li attendeva in frigorifero. Potevo avvelenarli. Potevo fare una figura agghiacciante. Potevo essere definitivamente bollata come caso umano da ben due famiglie.
E invece no.
Un miracolo.
La mia cheesecake era buonissima. Come un’opera di fiction ben riuscita.

Andate, dunque, andate a impastare delle cheesecake. Che se ce l’ho fatta io, nulla al mondo è impossibile.

 

 


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